lunedì 26 settembre 2016

Il gusto: come si sviluppa e come influenza le nostre scelte alimentari





Cosa influenza la nostra percezione del cibo? Le caratteristiche legate strettamente agli alimenti come sapori, profumi, temperature e consistenze, colori e aspetto, ma anche tutte le sensazioni che accompagnano ogni esperienza nutrizionale come per esempio suoni, abitudini, esperienza pregressa, emozioni e stato d’animo. Il sapore di un alimento non è infatti una modalità sensoriale definita: le papille gustative mediano la cosiddetta "sensazione gustativa" o gusto di un alimento, ma in realtà si tratta di una percezione cosciente che integra le modalità sensoriali del gusto e dell’olfatto, e le caratteristiche ambientali in cui si vive l’esperienza.
Se pensiamo alle differenti abitudini culturali in ambito nutrizionale (per esempio cibi più saporiti e piccanti in India o nel Sud America), possiamo facilmente renderci conto come le papille gustative siano in grado di abituarsi a certi sapori che diventano familiari e come invece vengano stimolate sempre da sapori nuovi o inconsueti. Ponendo attenzione all’educazione alimentare rivolta ai bambini ma anche agli adulti in ambito riabilitativo è estremamente interessante rendersi conto che le papille gustative possono essere ‘’educate e ri-educate’’ ai sapori.
Ma vediamo come si sviluppa appunto il gusto.
Gli organi di senso si sviluppano già a 8 settimane di gestazione e alcuni studi hanno mostrato che stimolando i recettori del gusto si registrano delle specifiche reazioni in termini di espressioni facciali in un feto di appena 27-28 settimane. Quindi si può affermare con certezza che già nel grembo materno il bambino è esposto a diversi gusti:  i composti che hanno sapore sono presenti in ciò che mangia la mamma e passano nel liquido amniotico alimentando il feto. Se il piccolo viene abituato a determinati sapori una volta nato tenderà a prediligere quei sapori, per cui l’educazione gustativa del nascituro comincia già nell’utero materno.
Anche il latte materno, come il liquido amniotico, ha la caratteristica di conservare e trasmettere al piccolo le caratteristiche organolettiche dei cibi ingeriti dalla mamma. Alcuni studi evidenziano come i bambini allattati al seno, essendo abituati ad un più ampio spettro di gusti (derivanti appunto dalla dieta della mamma), siano più propensi ad accettare un nuovo vegetale alla prima presentazione durante lo svezzamento rispetto ai bambini allattati artificialmente (anche se nutriti con bevande addizionate di varie sostanze).
I bambini tendenzialmente hanno una predilezione per il dolce, il grasso e il salato e una netta repulsione per l’amaro e l’astringente (per questo tendono a rifiutare le verdure).  Ma è bene sapere che tra i 6 e i 12-18 mesi si possono stimolare nella maniera più opportuna i recettori gustativi del piccolo e ampliando il suo orizzonte gustativo si potrà abituare il bambino alla varietà nel sapore e quindi alla varietà del contenuto nutritivo dei cibi. Proporre presto le verdure più varie aiuta per esempio a rendere familiare il gusto amaro, così come quello aspro utilizzando la frutta fresca e naturale. Tra i 18-24 mesi si presenta quella che viene definita ‘neofobia alimentare’, il piccolo tende a delineare i propri gusti e tendenzialmente rifiuta nuove proposte. In questa fase è bene non assecondare esclusivamente le certezze richieste dal bimbo ma continuare a proporre una buona varietà di alimenti giocando sulle consistenze, cotture e presentazioni che lo possano incuriosire.
Man mano che il piccolo cresce si arriva al periodo della scolarizzazione, che coincide con l’autonomia nell’alimentazione. In questa fase diventa importantissima l’educazione alimentare, sia a casa che a scuola: ricoprono un ruolo essenziale l’imitazione e quindi l’influenza di compagni e educatori. La sperimentazione a scuola diventa esperienza o consolidamento di abitudini alimentari che agiscono anche sulle pratiche alimentari proprie della famiglia.
Come avviene la maturazione del gusto? Intorno ai 20 anni le papille iniziano a consumarsi e la percezione dei sapori è meno forte: si iniziano ad apprezzare gusti più amari e decisi (es. birra, vino, caffè). Nel corso della vita, a seconda di ogni fase, nei momenti di salute o malattia, nei periodi più stressanti o in relazione ai livelli ormonali ci sono dei momenti in cui le papille gustative sono più sensibili o viceversa che non aiutano la percezione dei sapori. Tutte queste variabili influenzano le scelte alimentari (cibi più piccanti o più elaborati, o viceversa cibi più dolci o semplici,…). Nella terza età generalmente si iniziano ad attenuare gli stimoli sensoriali e diventa ancora più importante non farsi guidare solo dalla ‘gola’ ma ragionare sui cibi e i condimenti che fanno meglio all’organismo.
Ovviamente, per quanto detto prima, se nel corso della vita l’individuo ha mangiato vario sarà più facile che il pannello di scelte sarà più ampio e più sicuro per il benessere dell’organismo. Ma è bene tenere presente che, in qualsiasi momento della vita e a qualsiasi età, la consapevolezza e la voglia di  sperimentare sono due strumenti che possono sempre aiutare a migliorare le scelte a tavola.

Laura Sciacca, Biologa Nutrizionista
www.laurasciaccanutrizionista.it

Un buon rapporto con il cibo si costruisce da piccoli





Una buona educazione alimentare, cioè la costruzione di un sano rapporto con il cibo e la proposta delle migliori scelte a tavola, è fondamentale per tutto il periodo dell’infanzia, a partire dallo svezzamento fino all’adolescenza.
Sempre più spesso in ambito scientifico si sottolinea quanto le abitudini alimentari acquisite durante l’infanzia abbiano un’influenza diretta sul metabolismo dei bambini. Ecco che diventa essenziale indicare ai piccoli le corrette scelte nutrizionali in modo da prevenire alterazioni metaboliche e patologie correlate (disfunzioni ormonali, sindrome metabolica, diabete, ipertensione, …) e i disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, …).
Cosa influenza l’acquisizione delle abitudini alimentari nel bambino? L’ambiente in cui il piccolo vive (famiglia e scuola), le caratteristiche culturali del Paese di origine e infine una componente personale di base caratteriale (apertura alle novità e alla sperimentazione) o genetica (presenza di allergie o intolleranze per esempio).
Per quanto riguarda l’ambiente in cui cresce il piccolo bisogna considerare che fin dai primi mesi per ogni bambino la mamma e il papà sono il principale punto di riferimento, anche per quanto riguarda l’alimentazione. Spesso le prime scelte alimentari dedicate al piccolo sono bilanciate e controllate dal Pediatra ma è bene tenere presente, soprattutto man mano che il bimbo cresce, che è proprio a partire da quello che la mamma e il papà mangiano durante la giornata, dalle reazioni che i genitori hanno a tavola (atteggiamento sereno o ansioso, deciso o irritato) e dalle regole che vengono impostate in famiglia, che il bambino costruisce il suo rapporto con il cibo.
Durante la crescita anche la scuola arriva a ricoprire un ruolo fondamentale nell’educazione alimentare per il bambino. L’imitazione dei compagni diventa uno strumento essenziale per  sperimentare o consolidare delle buone abitudini alimentari. Scuola e Famiglia, come pilastri dell’educazione, devono essere aperti all’informazione e alla comunicazione reciproca in modo che le indicazioni per i piccoli e per i ragazzi siano chiare e univoche.
Abbiamo dunque sottolineato quanto sia importante che i genitori siano dei veri e propri educatori nell’alimentazione e per questo è bene conoscere le basi per una sana alimentazione, riconoscere le porzioni corrette e gli abbinamenti migliori per assumere i nutrienti necessari per l’organismo, in ogni fase della vita. Come comportarsi a casa? Ecco alcuni suggerimenti per impostare fin da subito delle buone regole a tavola per tutta la famiglia:
 - suddividere i pasti in 5 momenti nell’arco del giorno (colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena);
- assumere tutti i macro- e micronutrienti fondamentali per l’organismo (carboidrati, proteine, grassi, vitamine e minerali).
- consumare almeno 3-4 porzioni al giorno di frutta e verdura;
- bere molta acqua, ma evitare le bevande zuccherate (succhi e bevande gassate);
- ridurre i grassi e il sale a tavola, quindi limitare: salumi, fritti, condimenti, dolci elaborati;
- prediligere cibi freschi e genuini, limitando il consumo di alimenti confezionati ricchi di conservanti e grassi modificati (merendine, snack salati, piatti pronti confezionati e preparati per brodo);
-privilegiare le cotture salutari come la cottura a vapore che preserva il gusto naturale degli alimenti e le loro proprietà nutrizionali;
- praticare con regolarità attività fisica;
- evitare di assumere cibo davanti a TV e PC in quanto in questo modo viene alterata la percezione di sazietà (si tende a mangiare molto di più e tendenzialmente si prediligono snack confezionati).

Laura Sciacca, Biologa Nutrizionista
www.laurasciaccanutrizionista.it

Intolleranze alimentari e allergie





Secondo la Società Statunitense di Allergologia e Accademia Europea Di Allergologia e Immunologia Clinica le reazioni avverse ai cibi si possono classificare come segue: allergie alimentari (reazioni immunologiche); intolleranze alimentari (reazioni metaboliche); intossicazioni alimentari (reazioni a sostanze tossiche).
Facciamo un po’ di chiarezza definendo le caratteristiche principali delle allergie e delle intolleranze alimentari.
Le allergie si sviluppano in seguito ad una situazione di stress del sistema immunitario e ad una risposta anticorpale incontrollata. Generalmente vengono coinvolte le immunoglobuline E (IgE) e i tempi di risposta sono immediati (reazione in pochi minuti). La risposta infiammatoria è solitamente potente e acuta, e i rischi per la salute sono immediati. Di solito la reazione non è dose-dipendente (bastano pochi gr di sostanza o un contatto fugace per scatenare la risposta immunitaria). Le intolleranze alimentari si presentano in genere in risposta ad una alterazione metabolica e sono in grado di attivare le immunoglobuline A e G (IgA e IgG) (anche se in alcuni casi sono state riconosciute anche le intolleranze non IgA o IgG mediate). La risposta infiammatoria è generalmente lenta (reazione entro 48-72 ore dall’ingestione dell’alimento) e i rischi per la salute sono a medio e lungo termine. Spesso la reazione è dose-dipendente (l’organismo tollera un certo quantitativo e superata questa soglia invia dei segnali di sofferenza).
Come orientarsi in merito ai test per indagare eventuali allergie o intolleranze? Sicuramente il primo passo è consultare un professionista che, in base alla sintomatologia e all’anamnesi familiare, potrà consigliarvi sui passi da seguire.
E’ bene comunque sapere che i principali test per rilevare eventuali allergie sono i PRICK test (test cutanei preliminari), i RAST test (indagine degli anticorpi (IgE) specifici contro gli allergeni sospettati) o i PATCH test (test cutanei con utilizzo di cerotti). Di solito questi test vengono prescritti dal medico curante e, soprattutto nei soggetti a rischio, si consiglia sempre il consulto con un medico allergologo.
Invece per quanto riguarda l’indagine delle intolleranze alimentari vengono proposti diversi metodi; ecco di seguito le indagini più comuni con specificate le componenti dell’organismo che vengono analizzate in risposta al contatto con gli alimenti sospetti: KINESIOLOGIA APPLICATA (forza muscolare); DRIA (forza muscolare); ELETTROAGOPUNTURA – VEGA TEST (resistenza elettrica); BIORISONANZA (onde elettromagnetiche); TEST CITOTOSSICO (morfologia leucociti); ALCAT TEST (diametro dei globuli bianchi).
Al giorno d’oggi dal punto di vista scientifico è di particolare rilevanza la DIAGNOSI DELLE INTOLLERANZE A LIVELLO METABOLICO. Per esempio l’indagine dell’attività dell’enzima lattasi per quanto riguarda la capacità di digerire il lattosio, o l’attività dell’enzima G6PDH per quanto riguarda la metabolizzazione di fave e alcuni farmaci (favismo), o l’attività dell’enzima aldolasi B per quanto riguarda la corretta digestione del fruttosio.
Oltre ai test di laboratorio più comuni (es. Breath test per il lattosio o il dosaggio sierico di specifici enzimi), è bene sapere che la ricerca al giorno d’oggi ci offre la possibilità di analizzare il DNA. La Nutrigenetica è infatti la scienza che studia il ruolo delle caratteristiche genetiche individuali (polimorfismi genetici) nella risposta ai diversi fattori dietetici .
Il test genetico ha il grande vantaggio di non essere invasivo (quindi molto valido per effettuare screening sui bambini) e permette con certezza di determinare la predisposizione individuale a intolleranze alimentari o a carenze metaboliche, così da proporre adeguate integrazioni alimentari e ridurre in modo decisivo il rischio di patologia. Inoltre andando ad analizzare un elemento proprio del codice genetico personale dà un risultato definitivo. Negli adulti, ma ancor più nei piccoli, questo approccio non invasivo consente di regolare l’alimentazione lavorando sulla prevenzione piuttosto che sull’intervento terapeutico.


Laura Sciacca, Biologa Nutrizionista
www.laurasciaccanutrizionista.it

Surgelato o congelato?





Esistono diverse procedure per proteggere gli alimenti e conservare le loro caratteristiche in termini di odore, colore, consistenza e sapore. In ambito domestico generalmente si ricorre alla conservazione mediante basse temperatura: refrigerazione e congelamento.
Per quanto riguarda il frigorifero è bene sapere che la temperatura deve essere impostata tra 1 e 4 °C; i tempi di conservazione non sono lunghi (pochi giorni di freschezza). Il congelamento consiste nel portare gli alimenti a basse temperature (-5/-12 °C) o molto basse (-30/-40 °C) e la conservazione del prodotto è nell’ordine di 1-3 mesi. Nel congelamento lento l’alimento viene portato a -5/-12 °C in tempi lunghi (anche oltre le 48 ore) e si formano dei grossi cristalli di ghiaccio che, nella fase di scongelamento, possono causare la rottura delle strutture e quindi la perdita di liquidi e di alcuni nutrienti. Nel congelamento rapido o surgelamento (-30/-40 °C in poche ore) si formano dei cristalli più piccoli che non danneggiano la struttura degli alimenti e vengono preservate le caratteristiche nutrizionali.
Al giorno d’oggi moltissime famiglie acquistano i prodotti freschi che conservano grazie al congelamento o si procurano direttamente i prodotti surgelati. In generale i prodotti congelati o surgelati in ambito domestico devono essere conservati ad una temperatura uguale o leggermente inferiore a -18°C.
Gli alimenti surgelati e congelati generalmente presentano caratteristiche simili a quelle del prodotto fresco ma sono più sensibili alle aggressioni microbiche e diventa importante la garanzia del mantenimento della catena del freddo (gli alimenti dovrebbero mantenere la temperatura adeguata anche in fase di trasporto e di conservazione). Di seguito alcuni suggerimenti in merito all’acquisto di prodotti surgelati:
-         evitare di acquistare i prodotti surgelati all’inizio della spesa, ma posizionarli nel carrello pochi istanti prima di avvicinarsi alle casse;
-         controllare la data di scadenza e se le confezioni sono in buono stato;
-         la confezione non dovrebbe presentare brina in superficie e gli alimenti (soprattutto ortaggi) non dovrebbero essere in un unico blocco (sarebbe indice di un parziale scongelamento e poi ricongelamento);
-         una volta acquistati i prodotti è bene posizionarli in contenitori a temperatura controllata (o recipienti isotermici);
-         appena arrivati a casa porre i surgelati nel freezer.
Per quanto riguarda gli alimenti surgelati e scongelati un altro momento importante per non degradare le proprietà dei cibi è lo scongelamento. In casa il metodo migliore è lo scongelamento in frigorifero o a temperatura ambiente. Invece si sconsiglia di immergere gli alimenti in acqua calda perché il processo troppo rapido porterebbe all’alterazione delle strutture o da evitare anche le temperature troppo elevate nel forno microonde che darebbero origine ad una cottura superficiale dell’alimento. E’ bene infine tenere presente che alcuni prodotti non necessitano di uno scongelamento completo, per esempio alcuni ortaggi da cuocere possono essere cucinati parzialmente o ancora congelati.
Ecco infine alcuni consigli pratici per un corretto processo di congelamento domestico:
-         preparare gli alimenti pulendo bene tutte le parti e porzionandoli;
-         rispettare le norme igieniche (mani pulite, superfici di lavoro pulite, attrezzature adeguate, utilizzare guanti monouso in caso di ferite, …);
-         posizionare gli alimenti da congelare in specifici contenitori impermeabili, in sacchetti gelo, o in fogli di alluminio;
-         etichettare i prodotti conservati indicando la data di congelazione;
-         controllare regolarmente la temperatura del freezer e verificare che non ci siano accumuli di ghiaccio che ostacolano la corretta circolazione di aria fredda;
-         utilizzare i prodotti congelati entro 3 mesi (1 mese per carne e pesce);
-         se un prodotto viene scongelato (anche involontariamente per black-out elettrico di almeno 3-4 ore) deve essere consumato entro 24 ore. Non è bene ricongelare un alimento scongelato.

Laura Sciacca, Biologa Nutrizionista
www.laurasciaccanutrizionista.it